23 novembre 2008

HAFEZ HURAINI e la resistenza non violenta nel conflitto israelo-palestinese




Sintesi dell’incontro “Per la terra e la Vita. L’incredibile vicenda umana delle colline a sud di Hebron”
Foto:fontehttp://humanitytogether.wordpress.com

Arcore, 22 novembre 2008. Ieri sera l’associazione Paciamoci Onlus ha organizzato ad Arcore l’incontro “Per la Terra e la Vita. L’incredibile vicenda umana nelle colline a sud di Hebron” per dare voce a Hafez Huraini membro del South Hebron Hills Committe, un coordinamento nonviolento di pastori palestinesi.
Tra gli invitati Piergiorgio Rossetti volontario nei Territori palestinesi con “Operazione Colomba” e Gianluca Mazzini giornalista di Mediaset esperto di Medio Oriente.


Daniele Biella, di Paciamoci , introduce la serata spiegando che l’associazione è nata nel 2006 per iniziativa di alcuni ragazzi che hanno condiviso l’esperienza di volontariato coi i Caschi Bianchi in alcuni paesi dell’America Latina e dell’Africa. I membri di Paciamoci intendono continuare la sensibilizzazione sui diritti umani e la non violenza qui in Italia, anche tramite percorsi, proposti alle scuole, di gestione dei conflitti orientati a bambini e ragazzi.

In quest’ottica la serata voleva essere, ed è stata, un “momento di testimonianza di pace e speranza che denuncia la tragica realtà delle famiglie dell’area più povera della Cisgiordania.”

Piergiorgio Rossetti illustra,anche con foto, il contesto: si sta parlando delle South Hebron Hills, la zona al sud della Cisgiordania, dove un migliaio di persone vivono in povertà e che quotidianamente subiscono soprusi da parte di coloni e militari israeliani.
I volontari internazionali sono a fianco di queste persone nella loro resistenza quotidiana.
I volontari ogni giorno rischiano quello che rischiano i palestinesi di quelle aree. Lo scopo è la condivisione e affermare così ogni giorno che il valore della vita degli altri è pari, identico, al valore della nostra vita.
Hafez Huraini, un uomo alto, serio, ma che sa lasciarsi andare a larghi sorrisi. E’ arrivato proprio ieri in Italia, ha il volto stanco. Ha rischiato in Turchia e anche in Italia di essere rimandato indietro perché nonostante tutti i documenti fossero regolari, aveva dimenticato a casa la lettera di invito. Dopo tutto non ci si stupisce delle resistenze incontrate ai controlli negli aeroporti dato che passa la generalizzazione che se sei palestinese allora sei terrorista. Fortunatamente chi è andato all’aeroporto a riceverlo aveva con sé un originale della lettera d’invito e la situazione si è risolta.

Hafez Huraini, una moglie e 5 figli, ci racconta, in inglese, come vive e come vivono gli abitanti di quelle colline. Intanto scorrono le foto. Un paesaggio sterminato che sembra deserto. Sassi grigi e marroni e polvere. Non ci sono servizi: non c’è luce, non c’è acqua corrente. L’acqua che si beve è l’acqua piovana raccolta in cisterne scavate nella terra. Molte sono le famiglie che non hanno casa (e per casa qui si intende povere costruzioni di pietra) e allora vivono nelle caverne. Vivono di pastorizia, e del misero raccolto dei campi di una terra non fertile.
Hafez Huaraini dice che vivono secondo la vecchia maniera: con i ritmi agricoli di una volta. Che dal 1967 sono sotto l’occupazione militare israeliana il cui obiettivo è l’evacuazione degli abitanti palestinesi. Obiettivo che è portato avanti dai militari e dai coloni. Sicuramente è una storia lunga che non può riprendere interamente in questa occasione: ma la sintesi è appunto l’occupazione.

E le immagini chiariscono il concetto di questo obiettivo, e le modalità con cui viene perseguito.
Miseri covoni di fieno bruciati. Il bestiame avvelenato (era il 2005), pecore trovate uccise con colpi di fucile, la foto di un corpo martoriato di un asino che non era riuscito a scappare dalla furia dei coloni, per fortuna il pastore si era salvato con tutte le pecore.
E poi le foto che non si riescono a guardare: una bambina e un ragazzo feriti dalle botte dei coloni.
Si deve infatti sapere che i bambini che vivono nelle grotte di Tuba e Magayer Al Abeed, una ventina di bambini tra i 5 e 12 anni, ogni giorno devono essere accompagnati a scuola da militari israeliani perché sono stati più volte attaccati da coloni israeliani estremisti. Ora accade che non sempre i militari compiono il loro dovere e i bimbi perdono le lezioni. Oppure, e non sono casi rari, i militari arrivano tardi così i bimbi perdono ore di lezione.
Ogni giorno un vero clima di guerra. Un insediamento israeliano ufficiale, campi aridi, un bosco, e un altro insediamento di coloni, questo non ufficiale. La strada per la scuola costeggia il bosco, vicino ai coloni. Ogni giorno un rischio per i bambini, e non solo per loro.

Per non parlare degli altri mezzi per distruggere la resistenza dei palestinesi: confisca della terra, ordini di demolizione delle case (meglio baracche), sbarramento di strade con enormi massi, istituzioni di checkpoint che limitano o impediscono l’accesso alle vie di comunicazione, la creazione di aree militari chiuse non autorizzate.

Hafez ci mostra la foto di un muro di cemento. E’ alto tra i 60 e 80 cm, lungo 14 Km, non se vede la fine. E’ stato costruito dall’esercito nel 2006 per separare l’area delle South Hebron Hills dalla città di Yatta. Lo scopo era isolare i villaggi, negare l’accesso agli abitanti ai servizi e alle attività commerciali, rendere difficile la sopravvivenza.
Ora lo stanno abbattendo a seguito di forti proteste. Anche Hafez Huraini aveva partecipato ad una manifestazione, non violenta, e per questo era stato arrestato dalle autorità israeliane. L’abbattimento del muro è stato ordinato dall’Alta Corte Israeliana nel dicembre 2006

E’ nel 2000 che Hafez Huraini e gli abitanti dei quelle terre cominciano a vedere una speranza. Questa speranza nasce dall’attivismo dei pacifisti israeliani e internazionali. La loro presenza costringe i militari e i coloni a essere meno violenti, anche se non sempre è così.

Hafez Huraini inzia così a discutere con gli altri abitanti per cercare insieme un modo di resistere che non dia semplicemente voce al desiderio di vendetta.
Infatti secondo Hafez la violenza fa il gioco dell’occupazione, offre motivi per maggiore violenza. La non violenza è la vera strategia vincente. Oggi, dice, tutti gli abitanti dell’area sono concordi con questo tipo di resistenza non violenta.
Resistenza è il rifiuto di andarsene, è per esempio ricostruire le baracche distrutte, cercare, tentare un dialogo con i militari, con i coloni è davvero difficile. Questo con il supporto degli attivisti israeliani e internazionali.
E dato che i bambini sono le prime vittime di questa assurda situazione è molto importante cercare di far conoscere loro le differenze tra israeliani e palestinesi in un contesto paritario. Per cui vengono organizzati dei campi estivi dove ci sono bambini ed educatori palestinesi e israeliani. L’ultima iniziativa è stato un gemellaggio tra una squadra di calcio israeliana e una palestinese.
Sono naturalmente iniziative che richiedono fondi, che sono sempre insufficienti.
Hafez Huraini dice che la sua missione è raccontare quello che succede nella sua terra, perché non resti una verità che riguarda solo gli abitanti. In effetti si tratta di una questione umana che deve riguardare ciascuno tutti.
“Da stasera, ciò che vi ho raccontato, riguarda anche voi”.

Un forte applauso dal pubblico e un senso di responsabilità in più.

Quindi il giornalista Gianluca Mazzini interviene rispondendo alla domanda che gli viene rivolta. “Perché noi della storia di Hafez non sappiamo nulla, perché in TV e sui media è difficile sentire parlare di queste questioni?”
Giuanluca Mazzini è ben cosciente della questione, probabilmente ormai senza più illusioni sul fatto che qualcosa possa cambiare.
Innanzi tutto ricorda che l’informazione occidentale è di parte. Di parte perché i giornalisti inviati hanno generalmente contatti con persone di estrazione ebraica. E quindi le informazioni che passano sono, anche in buona fede, di parte.
In secondo luogo il conflitto arabo israeliano dura da 60 anni: è una storia vecchia. L’opinione pubblica italiana fatica a recepire perché è stanca. Stanca dell’argomento.
Punto terzo l’Italia non ha una sensibilità internazionale come può averla l’Inghilterra. E ricorda per esempio che ci sono duemila soldati italiani in Libano per mantenere la pace e nessuno ne parla.
Punto quarto: inviare giornalisti in luoghi di guerra costa molto, troppo. Solamente l’assicurazione costa 10.000 euro al giorno per inviato.
E infine l’Italia è gestita da una classe politica anziana. Una generazione che non guarda You Tube, una generazione non interessata ad accadimenti le cui informazioni non viaggiano su media classici.
Dice che ammira invece la stampa israeliana che offre informazione corretta.
E per dare un’idea di quanto sia difficile fare il vero mestiere di giornalista Gianluca Mazzini ci fa sapere che durante un incontro tra Ariel Sharon e Silvio Berlusconi, il primo ministro israeliano aveva espresso poca simpatia per tre corrispondenti della RAI, probabilmente per il loro modo di esporre i fatti. Dopo qualche mese i corrispondenti sono stati rimossi.

Gianluca Mazzini dice di ammirare la scelta per una resistenza non violenta, vera speranza per quei territori.
La violenza e gli soprusi dice che sono il risultato di una mancanza di equilibrio. Si può ritrovare l’equilibrio attraverso un reciproco riconoscimento delle due parti: il reciproco riconoscimento della loro storia. Ma si chiede se veramente Israele voglia la pace. Un paese che si sente in guerra, dove l’opinione pubblica in genere difficilmente è sensibile agli altri ed è portata ad un atteggiamento razzista. Per esempio all’interno di Israele gli arabi non possono votare e sono esclusi da molte attività. Dice che il vero obiettivo sarebbe quello di portare Israele a essere un paese normale.

Sempre riguardo a quanto sia di parte l’informazione ricorda la Siria che è considerata “stato canaglia”. L’ha visitato e ha trovato semplicemente gente che vuole vivere in pace. La popolazione siriana non ha alcuna voglia di fare la guerra. E’ un paese aperto al turismo, abbastanza moderno e dove le minoranze sono abbastanza tutelate. La Siria, “stato canaglia”, nella realtà dei fatti risulta essere un esempio virtuoso di tolleranza per il Medio Oriente.
Intanto “su Gaza non si sa niente. E’ un campo di concentramento a cielo aperto.”
Infatti dal 5 novembre, per ordine del ministro della sicurezza di Israele, tutti i punti di accesso a Gaza sono bloccati: non possono passare né beni né persone né carburante. E’ crisi umanitaria.

Molti sono stati gli interventi del pubblico e gli applausi. Per chi vuole continuare a interessarsi della causa di resistenza di Hafez Huraini e dire la sua sulla questione è stato creato il blog: http://humanitytogether.wordpress.com

Monica Mazzoleni

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