05 novembre 2008

Paura della crisi: mi compro la stufa onnivora


In quel della Brianza un mattino scuro e piovoso ha accolto la notizia di Obama presidente degli USA. Lungo i binari del treno, solitamente strapieni di studenti e impiegati, poca gente intirizzita. Un’autentica mattina d’autunno: uggiosa e malinconica. Qui ancora non è arrivata l’aria di speranza che soffia forte da occidente.


Mai avrei immaginato di incontrare, proprio stamani, un vecchio amico (chiamiamolo Marco per tutelare la sua privacy). Marco ha 42 anni, ma ne dimostra trenta, lavora per una società che produce software di gestione e controllo per le grandi imprese.
Siamo contenti di vederci, e scoprire che faremo il viaggio insieme per Bergamo.
Arriva un treno, il treno “pendolare su e giù” come lo chiamavo quando lo prendevo per andare a scuola. Posso scommettere che questo treno ha anche più di vent’anni.
Saliamo. Ci accoglie puzza di muffa e sporco, i sedili sono indecenti, la gente prima di sedersi cerca di selezionare il posto meno sporco. E fa pure freddo. Fuori continua a piovere e si è alzata la nebbia.

Ascolto Marco con interesse, è uno a cui piace parlare, ma non dice cose tanto per dire. Mi parla fitto del sul lavoro e delle problematiche che deve affrontare ogni giorno. E ancora una volta riscontro che ormai i problemi sono uguali per tutti i settori lavorativi. Mancanza di tempo, straordinari praticamente obbligati, politiche del management confuse e con un profilo temporale breve. Problemi gestiti male che producono altri problemi. Questo il mondo del lavoro oggi: nessuna soddisfazione e “ringraziare dio di averlo un lavoro”.
Marco confessa di aver pensato di cambiare, ma questo, dice, non è il momento adatto. No. Non è il momento adatto per nessuno, soprattutto per chi come lui tiene famiglia: moglie e due figli piccoli.
Conosco sua moglie, una donna intraprendente, energica e fantasiosa. Il ruolo di casalinga e di madre le sta stretto.
Marco dice che hanno fatto i conti e alla fine hanno convenuto che non valeva la pena che lei andasse a lavorare. Hanno uno stipendio in meno, ma non pagano la babysitter, lei ha tempo di fare spese più oculate, ma soprattutto ha tempo da dedicare ai bambini. Ed è un sacrificio che viene ripagato: i figli sono sereni e vanno benissimo a scuola.
Mi congratulo con lui, ma soprattutto per lei: sono scelte difficili.

Marco continua a parlarmi delle sue letture, dei suoi hobby che non sempre riesce a praticare dato che torna sempre tardi dal lavoro. Il viaggio in treno certo non facilita: un’ora e a volte anche più per percorrere trenta chilometri. Pensiamo in effetti essere sulla linea ferroviaria più malconcia d’Italia.

E inevitabilmente si finisce a parlare di crisi economica.
Marco mi dice “Sì. E’ un brutto momento. Io temo una crisi economica”. Con molta tranquillità mi spiega che ha letto su internet le previsioni per la produzione di petrolio. Sono tutti dati inquietanti. E mi spiega come non sia così assurda e lontana la possibilità che una crisi petrolifera blocchi tutte le normali regole del nostro vivere civile. “Basta che i camion o i tir non possano portare le merci ai centri commerciali, che in pochi giorni gli scaffali rimangono vuoti”.
E mi prospetta uno scenario inquietante. Difficoltà di reperire carburante, viveri, acqua, gas. La gente in panico. “Per cui io da un po’ di tempo compro qualche chilo di pasta in più, ho controllato che ci siano coperte per tutta la famiglia, ho comprato uno stock di candele e ho anche messo via un fornelletto a gas, come quelli che si usano per i campeggi. Voglio che i miei figli possano mangiare”.
E in un attimo, nella carrozza puzzolente con poltrone squallide, finestrini appannati, freddo… La crisi ipotizzata sembra palpabile.
Una ragazza qualche fila più avanti, che non può non sentire i nostri discorsi, vi volta per guardarci incuriosita.

Marco parla come se la sua decisione sia la cosa più normale del mondo, la più saggia da farsi. Spera che tutto questo non accada, ma se accade lui almeno è pronto.
E’ come se preparasse le valige per tutta la famiglia per un viaggio, sperando di non farlo mai.

E io lo ascolto senza stupirmi troppo. Non mi stupisco perché ai primi di ottobre ho detto a mia madre di tenere l’orto in ordine. Che se perdevo il lavoro e ci sarebbe stata la crisi, almeno avremmo avuto di che mangiare. Avremmo poi comprato e allevato qualche gallina per le uova e una capra per il latte. E forse tutta la famiglia ce l’avrebbe fatta. Ho superato la soglia dei quaranta e mai in vita mia ho pensato ad un’alternativa estrema, neppure per ironia o scaramanzia. Questa volta l’ho pensata.
Manco ne ha pensata un’altra e la sta mettendo in pratica. Perché mi dovrei stupire? E immagino che essere padre e temere di non riuscire a sfamare i propri piccoli deve essere proprio difficile.

“Ma a che serve tutto ciò che fai? Cosa ti cambia avere qualche candela in più, o un sacco di pasta in più? Il problema rimane, lo posponi solo di qualche settimana o mese forse”.
“Può essere. Ma io ho due figli piccoli e devo garantire loro di poter mangiare il più a lungo. Un mese è tanto. Voglio anche comprare una stufa onnivora, che funziona con tutto quello che ci metti dentro”.

Marco è stato sempre molto equilibrato nei suoi discorsi e nelle sue scelte.
“Immagino che questo tuo modo di fare serve più a te che ai tuoi figli. Serve per acquietare un po’ la paura. Ma se davvero succede quello a cui stiamo pensando di sicuro ci sarà qualcuno che verrà in casa tua a rubare i tuoi sacchi di pasta. Li dovrai difendere con le armi. Stai per caso anche cercando di ottenere un porto d’armi? Non puoi pensare di affrontare la crisi in quel modo. Lo so, ti conosco. Se capitasse e un tuo amico non avesse di che sfamare i suoi figli perché non previdente come te, di sicuro cederesti un pacco di pasta”. E intanto penso che a quel punto i miei dovrebbero recintare con filo spinato il loro orto.

Marco non ha alcuna intenzione di armarsi, se ne guarda bene. Dice che quando parla di queste cose ai suoi amici gli dicono che è esagerato, che è matto. Anche sua moglie non approva.

Confesso a Marco, che secondo me la sua paura non è così assurda. Che però il suo modo di fare è più un palliativo per le sue paure piuttosto che un vero aiuto ai bimbi. Come quando negli anni settanta la gente si costruiva il rifugio antiatomico in giardino.
Se qualche candela in più, un fornelletto e qualche chilo di pasta in casa lo fanno stare bene, perché no? L’importante che non passi il tuo timore ai figli.

Marco teme la violenza della gente affamata, disperata. Ma io sono fiduciosa, perché se tutto ciò succederà so che dovrò contare sulla gente che conosco e che mi circonda. So che su di loro posso contare. So che non mi lasceranno senza cibo, come io non lascerò senza cibo loro. So che anche nei periodi di barbarie ci sono gesti di estrema solidarietà. Credo nell’umanità: intanto scherzando chiedo a Marco se non mi posso portare avanti e stipulare un accordo con lui. A quanto mi venderà un chilo di pasta al mercato nero? Quante patate gli dovrò dare in cambio?

Il vento di speranza qui deve ancora soffiare e Marco continua a prepararsi al peggio, comprerà la stufa onnivora. I miei hanno in cantina un stufa a legna che usavano negli anni sessanta. Controllerò che non la buttino proprio ora.

Ma quante persone in Italia la pensano come Marco? Quale è il livello di sfiducia che abbiamo raggiunto?

Monica Mazzoleni

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