14 luglio 2009

“La prima guerra del football e altre guerre di poveri” di Ryszard Kapuściński


Appunti di un giornalista, corrispondente estero. Irrequieto, pronto a partire per luoghi da dove la gente fugge. Pronto ad affrontare situazioni estreme, a rischio della vita, spinto dal dovere di cronaca, dalla voglia di conoscere e far conoscere. Dall’Africa, all’America Latina per essere testimone di guerre, colpi di stato, catastrofi: testimone della storia.


Ryszard Kapuściński va oltre le apparenze degli importanti personaggi politici e cerca le loro paure e speranze. Mette in primo piano i poveri, i sempre perdenti di ogni guerra, la loro dignità e gli avvenimenti della storia che li travolgono e li portano spesso verso la morte.


Con parole chiare descrive le persone con cui viene in contatto e attraverso cui cerca di trovare la verità di quello che succede. Che siano capi di stato, contadini, criminali, impiegati, santi o colleghi, guarda, ascolta e racconta di loro come a cercarvi in ciascuno il senso dell’umanità, cosciente che il male e il bene, si intrecciano spesso in modo inestricabile.

Paragrafi che raccolgono riflessioni per un libro che sarà. Un diario di chi ha troppo poco tempo per raccontare di sé e delle sue emozioni perché sempre in corsa a raccontare gli altri e ad uccidere il silenzio nella grande storia.

“CISZA (SILENZIO). La gente che scrive libri di storia dedica troppa attenzione agli eventi cosiddetti significativi e studia troppo poco i periodi di silenzio. Difetta dell’infallibile intuizione di cui è provvista ogni madre che avverte un improvviso silenzio nella camera del bambino. Una madre sa che quel silenzio indica qualcosa di brutto, che nasconde sempre qualcosa e si precipita a intervenire perché sente un pericolo nell’aria. Lo stesso vale per il silenzio nella storia e nella politica. Il silenzio è un segnale di disgrazia, spesso di un crimine. E’ uno strumento politico esattamente come lo scatto di un’arma o il discorso fatto a un comizio. Tiranni e occupanti hanno bisogno del silenzio per nascondere il loro operato. Osserviamo come tenessero al silenzio tutti i colonialismi, con quanta discrezione lavorasse la Santa Inquisizione, come evitasse ogni pubblicità Leónidas Trujillo.

Sugli stati colmi di prigionieri gravita sempre il silenzio. Sul governo di Somoza, silenzio; sul governo di Duvalier, silenzio. Quanta fatica dedica ognuno di questi dittatori a mantenere un ideale regime di silenzio che qualcuno cerca continuamente di turbare! Quante vittime a questo scopo, e che prezzo! Il silenzio ha le sue leggi e le sue esigenze. Il silenzio vuole che i campi di concentramento vengano costruiti in luoghi deserti. Il silenzio necessita di un vasto apparato poliziesco e di un esercito di informatori, pretende che i nemici del silenzio spariscano di colpo e senza lasciare traccia. Vorrebbe che nessuna voce (d’accusa, di protesta, d’indignazione) turbasse la sua pace. Dovunque si alzi una voce, il silenzio colpisce senza pietà e ristabilisce lo stato di prima, lo stato del silenzio.

Il silenzio gode della facoltà di diffondersi: per questo usiamo espressioni quali “intono regnava il silenzio” oppure “calò un silenzio generale”. Il silenzio può anche assumere un peso: per questo parliamo di “peso del silenzio” come parliamo del peso dei solidi o dei liquidi.
La parola “silenzio” si associa di preferenza a parole come “tomba” (un silenzio di tomba), “morte” (un silenzio di morte), “sotterranei” (i sotterranei silenziosi). Non si tratta di associazioni casuali.

Oggi si parla molto di lotta contro al rumore, mentre sarebbe più importante la lotta contro il silenzio. Scopo della lotta contro il rumore è la pace dei nervi, quello della lotta contro il silenzio la salvaguardia della vita umana. Nessuno giustifica né difende chi fa molto rumore, mentre chi introduce il silenzio nel proprio paese è protetto dall’apparato repressivo. Per questo la lotta al silenzio è così difficile.

Sarebbe interessante indagare fino a che punto i sistemi mondiali di informazione di massa lavorino al servizio dell’informazione e fino a che punto al servizio del silenzio e della quiete. E’ più quel che si dice o quel che si tace? Possiamo facilmente contare coloro che lavorano nel campo della comunicazione. E se provassimo a contare coloro che lavorano a mantenere il silenzio? Quale gruppo risulterebbe più numeroso?".

Ryszard Kapuściński da “La prima guerra del football e altre guerre di poveri” ed. Universale Economica Feltrinelli.

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